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Liturgia del giorno: Dt 30,10-14; Sal 18; Col 1,15-20; Lc 10,25-37 Oggi la Chiesa ricorda due sante romane il cui martirio, subìto durante la persecuzione di Valeriano e Gallieno (nel 260 circa), è provato da numerosi documenti certi. Rufina e Seconda erano sorelle, entrambe fidanzate con due giovani cristiani, che però apostatarono, per cui esse decisero di votarsi alla verginità. Ma i due, non essendo riusciti a convincerle a seguire il loro esempio, si vendicarono denunciandole come cristiane. Mentre esse stavano fuggendo, furono raggiunte al XIV miglio della via Flaminia e consegnate al prefetto Giunio Donato. Risultati vani gli sforzi per costringerle all’apostasia e al matrimonio, esse furono condannate a morte. Condotte al X miglio della via Cornelia “in fundum qui vocatur Buxo” (l’attuale via Boccea) fu eseguita la sentenza: una (non si sa quale delle due) fu decapitata, l’altra uccisa a bastonate. I loro corpi, abbandonati alle bestie, furono raccolti poi da una matrona di nome Plautilla, a cui le sante avevano indicato il luogo del loro martirio invitandola alla conversione. Quella zona, fino allora chiamata Silva nigra (cioè Selva nera) fui poi chiamata Silva candida a ricordo di Rufina e Seconda, nonché dei santi Pietro e Marcellino, a loro volta decapitati in quella località. Sul sepolcro delle sante, secondo alcuni ad opera di papa Giulio I (pontefice dal 341 al 353), fu eretta una basilica che Adriano I restaurò e Leone IV arricchì di doni, mentre la regione circostante ebbe fin dal secolo V un proprio vescovo, inizialmente chiamato “di Selva candida”. Più tardi, quando la diocesi sotto Callisto II fu unita a quella suburbicaria di Porto, assunse la denominazione definitiva (che sussiste tuttora) di Porto e Santa Rufina. Papa Anastasio IV (1153-54) trasferì i corpi delle due sorelle nel Battistero Lateranense, dove tuttora riposano. L’antica basilica sulla via Cornelia andò in rovina, tanto che oggi non se ne può più nemmeno indicare l’esatta ubicazione.