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Trentesima domenica Tempo ordinario Anno A: UN AMORE SENZA CONFINI Es 2,21-27 1Ts 1,5-10 Mt 22,34-40 “I due comandamenti, dai quali dipende tutta la legge e i Profeti (Mt 22,40) sono profondamente uniti tra loro e si compenetrano reciprocamente. La loro unità inscindibile è testimoniata da Gesù con le parole e con la vita: la sua missione culmina nella Croce che redime (cf Gv 3,14-15), segno del suo indivisibile amore al Padre e all’umanità (cf. Gv 13,1). Sia l'Antico che il Nuovo Testamento sono espliciti nell'affermare che senza l'amore per il prossimo, che si concretizza nell'osservanza dei comandamenti, non è possibile l'autentico amore per Dio. (Veritatis Splendor. I fondamenti dell'insegnamento morale della Chiesa. 'Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti Mt 19,17, n. 14).” Oggi questa pagina dell’Enciclica di Giovanni Paolo II ci aiuterà nell'esegesi del brano di Vangelo proposto dalla liturgia odierna. Già nell'Antico Testamento, Dio stesso pone a fondamento della legge d'amore e di rispetto dell'orfano, della vedova, del forestiero, del povero, l'esperienza religiosa che il suo popolo aveva fatto nel deserto, un'esperienza quindi che non doveva rimanere un ricordo bello ma lontano, ma doveva diventare metro comune d'azione, stile di vita di tutti. Così dice il Signore: "Non molesterai il forestiero ne lo opprimerai, perché voi siete stati forestieri nel paese d'Egitto e, perché io sono pietoso" (Cf Es. 22, 20-25b). Amare Dio e il prossimo sono le due facce dell'unico comandamento che Cristo Gesù ha dato ai "suoi" come segno di riconoscimento (Cf Gv 3,35), un amore però da vivere non lasciandosi dominare dall'emotività, tipica dell'atteggiamento adolescenziale, bensì un amore vissuto come lo ha vissuto Lui, nel più profondo dialogo col Padre e nella continua attenzione ai fratelli che concretamente incontrava nella vita di ogni giorno. Per dialogo con il Padre intendiamo innanzitutto lode e ringraziamento per il mistero della vita, che non è nostra e che in un attimo ci può essere tolta. Ringraziamento per il mistero della grazia con cui Egli opera in ognuno di noi e nella storia, nel cuore di milioni di nostri fratelli dal volto anonimo e che pure costituiscono il tessuto profondo della società di ogni popolo. Solo chi non vive quel mistero di amore, come dialogo con Lui e con attenzione ai segni della sua presenza, si lascia scoraggiare dal male che sembra esser il vero dominatore dl mondo. Chi invece ama, loda e ringrazia. E ognuno di noi ha tanto da ringraziare, soprattutto se ha tanto da soffrire e da offrire, perché nell'amore è associato all'opera di redenzione del Figlio di Dio e fratello nostro Gesù. Come non ringraziare per il dono della vita, della fede, per l'appartenenza alla santa Chiesa che all'inizio del terzo millennio della sua storia si presenta più viva come mai? Con questa enciclica Veritatis Splendor, con il Catechismo della Chiesa Universale essa appare come un faro che illumina, sale che rende il sapore a tutta la vita, comunità capace di chiedere ai suoi figli migliori il dono dell'intera vita per farsi missionari gioiosi e generosi della divina parola. Amare Dio significa anche ascoltarlo. Chi ama gode di ascoltare la parola dell'amato. E la liturgia odierna, nella seconda lettura sottolinea come soltanto "avendo accolto la parola con la gioia dello Spirito Santo, anche in mezzo a grandi tribolazioni" (1 Ts 1,6), i cristiani di Tessalonica e di ogni luogo possono diventare imitatori del Signore e modello di vita a tutti gli altri.