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12PORTE - 10 marzo 2016: Un triste anniversario, che non passa inosservato sotto le due torri, se non altro per la presenza a Bologna di una vivace parrocchia ucraina cattolica di rito bizantino. 70 anni fa’, ai primi di marzo del 1946, nella cattedrale di Leopoli, un gruppo di impauriti sacerdoti furono costretti dal regime sovietico di Stalin a inscenare uno pseudo-sinodo che deliberava l’annessione alla Chiesa ortodossa del Patriarcato di Mosca. Nessun vescovo era presente perché erano stati tutti arrestati e deportati, così come la maggior parte dei preti e dei monaci. Già dalla fine del ‘500 le diocesi bizantine della metropolia di Kiev avevano riconosciuto il primato del Papa e avevano stretto legami di comunione con la Chiesa romana. Si trattava di un sentimento profondo, non spiegabile solo con ragioni politiche. Lo dimostra la storia del XX secolo. La Chiesa ucraina venne ridotta al silenzio ed esposta al martirio: tutti i suoi beni vennero espropriati. Vescovi, preti e monaci venivano torturati e costretti nei gulag. Le celebrazioni avvenivano di nascosto e a rischio della vita. Papa Giovanni ottenne la liberazione del solo Metropolita Joseph Slipiy che dalla Siberia poté giungere a Roma per partecipare ai lavori del Vaticano II. Fu grande la sorpresa, quando con la fine del regime sovietico, alla fine degli anni ’80, la Chiesa greco-cattolico ucraina poté riuscire allo scoperto, con una vitalità sorprendente. Si mostrò come una chiesa di giovani, con tantissime vocazioni maschili e femminili e con un clero che oggi ha l’età media di 38 anni. Giovedì scorso l’Arcivescovo Maggiore Sviatoslaw ha celebrato una Liturgia di ringraziamento nella basilica romana di Santa Maria Maggiore ed è stato ricevuto da Papa Francesco, che ha espresso la sua comunione e il suo incoraggiamento. Oggi l’Ucraina, dopo iniziale un periodo di speranza e di ripresa è di nuovo entrata nel baratro di guerra con l’annessione forzata di territori alla Riussia, situazione che inevitabilmente influisce anche sulle ferite spirituali del suo popolo. La stessa Chiesa ortodossa è divisa al suo interno e restano tesi i rapporti con i cattolici. Il battesimo, il martirio, la fedeltà a Cristo e un grande desiderio di comunione sono le strade da percorrere per costruire una riconciliazione possibile con l’aiuto di Dio. E non mancano segni di speranza, come legami di amicizia timidi ma sinceri che si instaurano tra sacerdoti e membri delle comunità nei paesi di migrazione. Perché il richiamo dell’unità in Cristo resta più forte di ogni divisione.