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LA FEDE DELLA COMUNITA' CRISTIANA NELLA QUALE DIO COMPIE LA VOCAZIONE DI CIASCUNO Per parlarci delle cose serie e decisive per la nostra vita, il Signore ci conduce oggi ad aprire gli occhi sulla Chiesa, sulla comunità cristiana concreta nella quale siamo chiamati, il luogo solitario senza il quale non esiste relazione con Lui. Per ascoltare la sua voce e non indurire il cuore, abbiamo bisogno di un luogo separato dal mondo ateo e pagano (anche nel senso di una certa religiosità fai da te, orientaleggiante, gnostica e del tutto irrilevante per l’anima; come lo è quella dell’impegno sociale e civile, che, tra il plauso mondano, sposta di un millimetro le sorti dell’umanità ma incastra l’anima nel risentimento e nel giudizio). In esso, infatti, è l’uomo che fa domande a Dio, mentre nella Chiesa è Gesù che fa domande all’uomo. A cominciare dalla prima, fondamentale: “Dove sei?”, per passare a quella del brano di oggi: “voi, chi dite che io sia?”, sino all’ultima, decisiva: “mi ami tu più di costoro?”. La preghiera, che significa liturgia, ascolto e sacramenti uniti alla vita cristiana, celebra Dio, e non l’uomo. E’ Cristo al centro, non il nostro io. Per questo non si può avere una relazione con Dio e con il suo Figlio senza una comunità nella quale l’io è continuamente chiamato a decentrarsi, a lasciare la cattedra riservata a Dio per sedersi al suo posti, l’ultimo. Anche quando preghiamo nella nostra stanza, lo facciamo insieme alla comunità cristiana; le fughe intimistiche alienano e spingono verso l’eresia, che è l’assolutizzazione soggettiva di un aspetto della fede, quello più consono alla propria sensibilità e più legato alla propria storia, sempre a scapito dell’insieme e della comunione. E’ quando, illudendomi di indossare il vestito della fede, mi chiudo per chiedere a Dio di compiere la mia volontà, senza tenere conto della sua, che, proprio perché abbraccia tutti nella stessa salvezza, è l’unica buona anche per me. Per questo oggi il Signore, ci chiede: “Ma voi, chi dite che io sia?”, e quel “ma“ è una sforbiciata che taglia di netto ogni compromesso tra il pensiero mondano e quello di Dio. “Ma voi”, che ho convocato e chiamato per nome per ascoltare la mia Parola in un’assemblea dove vi ho unito a me; “ma voi” che nella comunità cristiana vi nutrite del compimento della mia Parola che sono i sacramenti; “ma voi” che siete una comunione di “tu” che si amano, si perdonano, portano i pesi e i peccati degli altri; “ma voi” che non pensate secondo il mondo, che cosa pensate e testimoniate di me? Attenzione fratelli, perché non ci sono risposte soggettive; esiste solo una risposta esatta, quella detta da Pietro a nome della comunità: “Tu sei il Cristo di Dio”. Tranquilli, non vi scandalizzate, non si tratta di omologazione; questa è tipica del mondo nel quale proprio la presunta autodeterminazione è la cifra tragica dell’omologazione: chi ha tagliato con Dio, infatti, può pensare, dire e fare solo una cosa, peccare, come tutti gli altri. Nella Chiesa, invece, i peccati che omologano i fratelli sono perdonati, e ciascuno è riconsegnato alla sua identità autentica e irriducibile, libero per amare; e quando si ama, nessuna parola e nessun gesto è uguale all’altro, perché l’amore è creativo per raggiungere e donarsi all’altro nella sua originalità, proprio come Cristo ha fatto con ciascuno di noi, amandoci così come siamo, peccatori e traditori. Nella comunità cristiana infatti, come Adamo, possiamo scoprire “dove siamo” ogni giorno, in famiglia, al lavoro, con gli amici; forse lontani da Cristo perché lo abbiamo tradito nei fratelli. E contemporaneamente, sperimentare che Dio non ci ha condannato, ma ha inviato il suo Cristo (unto) per salvarci. Sperimentare cioè quello che per la sapienza del mondo è stolto e per quella religiosa è scandaloso: la necessità ineludibile della sofferenza, del rifiuto e della morte di Gesù. Per te e per me. Per noi, che, avendo rifiutato Dio, soffriamo immensamente nel rifiutarci l’un l’altro, morendo nei peccati.